Questa storia è stata scritta da Mario Scarselletta, segretario di uno storico club di Sidney; la spinta alla stesura del documento è venuta dalla curiosità che le proprie nipoti hanno avuto riguardo all'”avventura” realizzata dal nonno, grazie alla quale oggi loro sono cittadine Australiane.
Nonostante l’interesse per la storia familiare, però, le ragazze non conoscono l’italiano, per cui la storia originale è scritta in inglese. Mario, venuto a conoscenza del nostro interesse ha provveduto a tradurla in italiano e noi la pubblichiamo, integrata con immagini di fantasia, così come lui ce l’ha donata.
Era il Luglio 1958 quando ricevetti la notifica che mi informava che la nostra domanda di emigrare in Australia era stata approvata e che saremmo partiti con la nave “Sydney”delle linee Lauro il 15 Ottobre. Maria ed io eravamo fidanzati a quel tempo e pensavamo di sposarci in Settembre. Benché la partenza fosse prevista, improvvisamente tante cose dovevano essere sistemate nel poco tempo a disposizione.
La prima era sposarci al più presto possibile, licenziarci dai nostri impieghi, organizzare una ridotta luna di miele e preparare i bagagli.
Stavamo per lasciare la nostra Patria per un lungo tempo quindi le cose dovevano essere fatte per bene. Il primo problema che incontrammo fu dovuto dal fatto che le pubblicazioni del nostro matrimonio non sarebbero state sufficientemente affisse in chiesa e il parroco ci informò che non poteva sposarci. Solo quando decidemmo di sposarci con un rito civile Don Umberto dette la sua approvazione.
Il nostro matrimonio avvenne il 16 Agosto, il ricevimento non fu dei piu’ felici, tutti gli alberghi/ristoranti che conoscevamo erano esauriti ma grazie a delle conoscenze affittammo una sala al Milleluci di Segni ma soltanto quando tutti i villeggianti che risiedevano avevano pranzato. Dopo aver finalmente salutato tutti i parenti e amici, partimmo con una macchina affittata per Roma dove avremmo trascorso la notte. Le nostre peripezie erano appena iniziate, non essendo pratici degli alberghi in città scegliemmo il più vicino alla stazione Termini ma era tutto esaurito.
Durante il viaggio Maria si sentì male, ci fermammo sul ciglio della strada, le scarpe di camoscio che indossavo ricevettero parte del cibo che Maria aveva mangiato a pranzo. In albergo ci offrirono una stanza con due letti separati che io rifiutai, Maria manifestò soltanto una debole protesta dato il caldo e la stanchezza accumulata durante le ultime 24 ore e mormorò che sarebbe disposta anche di dormire su una poltrona. Io ero immerso nei miei pensieri se fare come lei e recriminavo sui contrattempi che minacciavano di rovinare la nostra prima notte di nozze quando improvvisamente una voce soffice mi riportò alla realtà, una camera matrimoniale era disponibile data una cancellazione. Il mattino susseguente, riposati e rinfrancati, partimmo per Napoli dove avremmo trascorso la nostra luna di miele.
Finalmente partimmo per Genova per imbarcarci. Le ultime ore prima della partenza furono piene di ansia, nessuno accennava all’imminente distacco cercando di essere più naturale possibile. Al momento dei saluti i genitori di Maria non volevano lasciarla, Mio Padre cercò di essere burbero e pieno di raccomandazioni, mi aveva sempre incoraggiato di trovarmi una sistemazione lontano dal paese ma non avrebbe mai immaginato che lo avrei fatto lontano dalla mia Patria lasciando famiglia e amici. Mia madre non ebbe parole ma mi abbracciò cosi forte che quasi non potevo respirare. Alcuni amici e parenti vennero alla stazione a salutarci, Mentre il treno si allontanava ricordo i fazzoletti che sventolavano nella poca luce serale.
Il nostro viaggio era iniziato, solo noi due nel primo passo verso un futuro incerto in una nazione straniera di cui sapevamo ben poco, Chissà se la nostra esuberanza giovanile ci avrebbe aiutato ad affrontare gli inevitabili ostacoli della lingua inglese, e di ambientamento, che Dio ci aiuti.
A Genova passammo tre giorni tra visite mediche e colloqui professionali e finalmente ci imbarcammo con altri emigranti e passeggeri, 1500 in tutto. Io avevo 25 anni e Maria 22. Ci confortò il notare come tanti altri come noi avevano preso la stessa decisione di emigrare e anche nell’incertezza di un futuro ignoto trovammo un po’ di fiducia. All’ufficiale che assegnava le cabine chiesi se era possibile avere una cabina per noi due ma con mio disappunto mi ritrovai a dividere la cabina co altri sei uomini e Maria con altre sei donne.
Una volta sistemati alla meglio cominciammo a conoscerci con gli altri, dovevamo passare molto tempo insieme quindi era meglio fare amicizia al piu’ presto. Il giorno dopo aver lasciato Genova arrivammo a Napoli dove altri passeggeri sarebbero saliti a bordo. Mentre ero sul ponte notai un viso familiare nella folla sottostante,riconobbi mio fratello Aldo; non potevo credere ai miei occhi….”cosa ci fa Aldo a Napoli” mi chiesi. Con Maria scendemmo a terra e notammo che Aldo non era solo ma due nostri cugini lo avevano accompagnato con la loro macchina. Ancora incredulo chiesi loro la ragione di aver viaggiato da Roma a Napoli solo per vederci salpare. Aldo era altrettanto perplesso e spiegò che una signora che noi incontrammo a Genova per le visite mediche come noi, al ritorno a Colleferro disse a mia madre che Maria ed Io avevamo nostalgia di casa e eravamo depressi. Evviva la buon samaritana! Seppure inaspetteta la loro visita ci riempì di gioia e festeggiammo con una pizza che non avevamo mai mangiato, tanto era buona.Prima di lasciarci provvidi Aldo di alcuni pacchetti di sigarette e dopo averlo riassicurato che noi stavamo bene ci salutammo per l’ultima volta.
La nave salpò verso sera e il giorno dopo arrivammo a Il Cairo in Egitto. Diversa da Napoli e il suo clima mite, la città era afosa quasi da non poter respirare. Quando scendemmo a terra trovammo guardie ovunque per la sicurezza e fummo avvisati in precedenza di non acquistare merci di ogni genere per strada. Comunque avevamo voglia di banane e ne mangiammo fino a sazietà al ritorno a bordo. Dopo il Cairo entrammo nel Famoso Canale di Suez e un paesaggio nuovo e desolato si presentò ai nostri occhi, sui lati del Canale si notavano alcuni cammelli che riposavano sotto a dei palmeti sparsi nel deserto. Inaspettatamente la nave si fermò per dare il passaggio alle navi da carico nel mar Rosso che ci dissero hanno la precedenza su quelle passeggeri, per questo restammo fermi otto ore.
Mentre cercavamo di trascorrere quelle ore oziose come meglio potevamo, discorrendo con i nostri vicini, una giovinetta si accostò a noi dopo aver ascoltato il mio dialogo in inglese. Helgardt era tedesca e era diretta in Nuova Zelanda per raggiungere sua madre. Era impaurita e temeva che i giovani a bordo le dessero fastidio e poi voleva migliorare il suo inglese. Maria la rassicurò e da allora trascorse molto tempo con noi. La vita a bordo non era piacevole per tutti, molti soffrivano di mal di mare e passavano ore ai bordi dei ponti per respirare un po’ di aria fresca lontano dalle cabine soffocanti prive di condizionatori d’aria. La nostra cabina era al ponte D ovvero con l’oblo’ appena sopra il livello del mare. Maria era una di quelli che soffrivano del rullio della nave e preferiva rimanere sulla cuccetta. Io godevo il viaggio e tutte le attività a bordo, la piscina sempre gremita di gente allegra e quando andavamo a prua a guardare i delfini era uno spettacolo eccitante. Il cibo a bordo era variato e di buona qualità io ne portavo a Maria quando non veniva su. Dopo due settimane di navigazione avvistammo il porto di Aden dove avremmo dovuto fare sosta ma i portuali erano in sciopero perciò proseguimmo per Fremantle. Questo significava che non avendo potuto rifornirci di prodotti freschi, per il resto del viaggio dovevamo adattarci. Sempre meno gente veniva a pranzo o cena anche perchè le persone malate aumentavano ogni giorno. Le cose cambiarono leggermente quando passammo l’Equatore, Io fui scelto per rappresentare Re Nettuno e la mia compagna era una bella ragazza tedesca. Queste celebrazioni durano tutta la giornata per la gioia e gaio abbandono dei partecipanti con bagni finali nella piscina vestiti. Maria cominciò a sentirsi meglio e a volte prendevamo parte ad attività sociali, una volta ricordo partecipammo ad una gara di ballo dove la coppia doveva mantenere un’ arancia tra le due fronti, noi restammo per ultimi sulla pista e vincemmo una bottiglia di Champagne. Essendo giovani venivamo spesso invitati a partecipare al ballo del Capitano dove il cibo era eccellente,allora dimenticavamo le nostre ristrettezze e trascorrevamo ore spensierate. Ho conosciuto tante persone a bordo, due in particolare un francese e un austaliano; con essi imparai tante cose sulla vita in Australia e il modo di aver successo in terra straniera, questo magari troppo ottimista.
Si diceva a bordo che una volta arrivati a Melbourne ci avrebbero ospitati in un campo di smistamento in attesa di un’offerta di lavoro. Alcuni che risiedevano in Australia parlavano di condizioni disagiate a questo campo e che qualche anno prima ci furono delle rivolte da parte dei residenti e perfino delle baracche vennero bruciate. Io non dissi niente di questo a Maria ma mi sentivo responsabile di aver coinvolto lei a queste avventure rischiose. Mi confortava il fatto che dopotutto avevamo due anni di contratto con il governo australiano e saremmo tornati in Italia se le cose non fossero andate come speravamo. Marcel e Stan mi rassicurarono dicendo che un mestiere e soprattutto la conoscenza della lingua mi avrebbe aiutato a sistemarmi.
Stan si offrì di parlare con il suo capo alla Qantas dove lavorava e cercarmi un impiego. Pieno di euforia lo dissi a Maria e già sognavamo una sistemazione immediata. Il viaggio proseguì in modo piacevole e finalmente vedemmo le coste dell’Australia. Una valanga di pensieri mi invase a quello spettacolo, stavamo per arrivare a destinazione, le amicizie strette durante il viaggio sarebbero finite fra poco e Maria ed io avremmo affrontato il futuro da soli, ce l’avremmo fatta? Guardando le altre persone percepivo le stesse ansie; la vacanza era finita adesso cominciava la realtà. Al nostro arrivo a Fremantle ci attesero molte formalita’ da sbrigare prima di poter sbarcare. La dogana ci controllò i passaporti quindi dovemmo cambiare la moneta italiana in sterline e dopo un lungo discorso dalle autorità finalmente toccammo il suolo australiano.
Una cosa strana ci colpì appena a terra, sembravamo tanti ubriachi, le nostre gambe abituate a camminare sulla nave erano deboli sulla terra. Camminando notavamo che tutto era diverso; le case i negozi le strade e nonostante le febbrili attività del porto c’era nell’aria un senso di pace, di tranquillità. Qualcuno ci ricordò che nella confusione non avevamo mangiato quindi ci precipitammo in un fruttivendolo e comprammo quasi tutte le banane esposte. Pagare era un problema quindi mostravamo le mani piene di spicci sperando che i negozianti si prendessero la somma giusta. Entrammo in un ristorante e per la mia conoscenza della lingua fui eletto per ordinare. Eravamo in sette ma uno del gruppo decise di ordinare da solo. Per nostra sorpresa la bistecca quasi usciva dal piatto, tanto era grande e poi un contorno di pomodori cotti e verdura. Ci avventammo sul piatto, chiedendo ancora pane e alla fine ci portarono un filone intero. Penso che mangiammo tutto il pane che avevano. \Al nostro amico portarono un gelato, tutti ridemmo della sua superbia. Lasciammo la ridente cittadina di Fremantle sul tardi dello stesso giorno, stanchi delle novità e attività recenti e credo che molti non dormirono quella notte, noi compresi, pensando che fra qualche giorno ci saremmo separati dai nostri nuovi amici.
Il cibo a tavola era fresco e variato di nuovo e perfino le banane apparvero sul menu.
Molti a bordo scambiavano indirizzi di dove avrebbero alloggiato, alcuni fortunati avevano parenti ad aspettarli, promettendo di ritrovarsi una volta sistemati. La realtà e’ che una volta entrati nella vita giornaliera si e’ presi dalla frenesia di far bene e rassicurare i famigliari, quindi tutto il resto rimane un buon ricordo e basta. Anche Stan mi lasciò il suo numero di telefono, e sapendo di finire al campo di smistamento io non potei fare altrettanto.
Dopo due giorni di navigazione arrivammo a Melbourne in una giornata grigia e afosa, ci dissero che il clima in città può cambiare più di una volta durante un giorno. Un’altra sorpresa ci aspettava, alla dogana ci informarono che io e Maria non saremmo andati al campo ma avremmo proseguito per Sydney. Tipicamente anglosassoni non elaborarono oltre ma a mia insistenza dissero che un mister Fiore ci aveva sponsorizzato. Un senso di vuoto mi pervase, Maria si preoccupava di questa nuova delusione. Nella confusione del momento non ricordai chi questo Mister Fiore era ma mi feci forza e dissi a Maria che tutto sarebbe andato bene. Un’altra sorpresa ci aspettava allo sbarco, amici di Colleferro che risiedevano a Melbourne da qualche anno ci aspettavano sul molo. Dopo le inevitabili formalità li raggiungemmo con le lacrime agli occhi; che bello sentire il suono del nostro dialetto in terra straniera. Liliana e famiglia ci invitarono a pranzo a casa loro e trascorremmo un pomeriggio parlando di cose a noi care e ci dissero che se volevamo restare a Melbourne avevamo il lavoro pronto alla cartiera dove lei lavorava. Io la ringraziai ma pensavo che il mio destino era a Sydney.
Le nostre sorprese non erano ancora finite, tornati a bordo trovai la cabina vuota e miei bagagli scomparsi, corsi verso la cabina dove alloggiava Maria e mi disse la stessa cosa allora corsi dall’ufficiale addetto alle cabine tutto trafelato ma egli mi riassicurò che ci avevano assegnato una cabina privata per il resto del viaggio. Ogni mattina le notizie giornaliere apparivano su notiziario affisso presso l’ufficio annunci, come consueto mentre lo guardavo peraltro senza interesse, notai il mio nome e il messaggio di andare in ufficio, li mi consegnarono una lettera dove venivo informato da Mister Fiore che aveva fatto richiesta verso le autorità per evitarmi il campo di smistamento. Quando informai Maria si infuriò dicendo che avrebbe preferito andare al campo con tutti i nuovi amici specialmente Elmo e Fernanda con i quali avevamo stretto una buona amicizia.
Il nostro arrivo a Sydney coincise con una giornata di sole splendida, era il 25 Novembre 1958. La nave passò sotto il famoso ponte del porto, a quell’epoca unico al mondo per la sua costruzione ad arco singolo, di cui avevo letto molto. Ogni singola persona a bordo stava sul ponte ad ammirare il meraviglioso panorama che si presentava ai nostri occhi. Quando finalmente approdammo a Walsh Bay, la temperatura era aumentata ad un livello quasi insopportabile. Cercai di individuare come tutti il mio benefattore ma era impossibile data la folla che aspettava impaziente ai cancelli. Si udivano dappertutto urla di “benvenuti, ciao ,fate presto, finalmente siete arrivati” dai famigliari e amici li’ a ricevere e dare il benvenuto ai loro cari.
Le formalità furono interminabili, alla fine i miei bagagli non potevo portarli con me e non sapevo neanche il mio futuro indirizzo allora corsi al cancello e finalmente riconobbi Quinto Fiore il cognato di mio fratello che non conoscevo molto bene e ricordo di aver parlato con lui una volta della mia intenzione di emigrare in Australia.Con una frettolosa stretta di mano e un imbarazzato sorriso mi dette l’indirizzo che consegnai alla dogana. Quinto mi rassicurò che il bagaglio sarebbe stato consegnato a domicilio fra qualche giorno.”Questa e’Australia, qui sono onesti”. Disse con orgoglio. Dopo le formalià i cancelli vennero aperti e noi fummo invasi da una fiumana di gente che lasciando libere le loro emozioni si scambiavano baci abbracci e lacrime di gioia.
Finalmente entravamo in Australia ufficialmente. Un nuovo capitolo della nostra vita era iniziato , fummo grati ai nostri nuovi amici per l’accoglienza dimostrataci e alle nostre famiglie lontane che cercando di far bene si misero in contatto con Quinto.
La casa dove avremmo alloggiato era di costruzione in legno, a due piani con giardino anteriore e un vasto spiazzo erboso posteriore, ci piacque subito e anche i padroni di casa furono affabili. Le condizioni erano che a parte la nostra camera, dovevamo dividere il resto della casa con altra gente. La prima giornata stava per finire quando, stanchi, ci ritirammo nella nostra stanza. Alcune ore dopo ci svegliammo e ci rendemmo conto che non avevamo mangiato nulla di sostanzioso dalla colazione a bordo prima di sbarcare, allora scendemmo giù in cucina pensando di cenare insieme agli altri ma con nostro disappunto ci dissero che i pasti non erano inclusi nell’affitto. Imbarazzati e affamati chiedemmo se fosse possibile acquistare la cena ma ci dissero che i negozi chiudevano alle sei e non c’erano ristoranti nella zona. Proprio allora Quinto apparve per sapere come stavamo e capita la situazione uscì e tornò poco dopo recando pane e mortadella. Non ho mai chiesto da dove quel cibo provenisse se i negozi erano chiusi. Ero deluso della mancanza di ospitalità da parte dei padroni di casa; avrebbero potuto invitarci a cena almeno la prima sera!
Il giorno dopo con Quinto progettammo di come cercare lavoro perchè anche lui era disoccupato. Mi rassicurò che di lavoro ce n’era tanto e con il mio mestiere e la conoscenza della lingua non avrei trovato difficoltà. Comunque dopo due settimane di cammino su e giu’ per la citta’ non avevamo ancora trovato lavoro. Le nostre risorse finanziarie non erano molto floride dopo aver acquistato piatti ecc. per cui ogni sera con Maria contavamo quanto potevamo andare avanti.
Nonostante le prime difficolta’ ci godevamo le bellezze della citta’ di Sydney e della pulizia dei dintorni, i giardini delle case ben curati e parchi dapertutto. Eravamo contenti di essere qui anche se spesso pensavamo a casa e le nostre famiglie. Una mattina come al solito andai dove Quinto risiedeva per cominciare la nostra via crucis ma con mio disappunto fui informato che un amico di Quinto lo porto’ al lavoro con lui la sera prima. Mi sentii tradito e ignorato, ma mi ripresi subito e decisi di trovarmi un lavoro da solo.
Quella sera dopo cena divisi i miei dubbi con i coinquilini e fui informato che alle ferrovie assumevano gente per lavori generici. La mattina seguente mi presentai all’ufficio e all’impiegato dissi che non avevo qualifiche. Penso che non mi credette, ero imbarazzato ma deciso a prendere lavoro e lo mostravo ma mi assunse e mi dette una lettera da presentare al distretto ferroviario di Sydenham. Lasciai l’ufficio piu’ svelto che potei per paura che ci ripensasse. Ero euforico non vedevo l’ora di dare a Maria la bella notizia. Quando rividi Quinto egli si scuso’ per non avermi avvisato del lavoro offertogli ma io non mi preoccupai, anch’io avevo un lavoro!
Quella sera dopo cena divisi i miei dubbi con i coinquilini e fui informato che alle ferrovie assumevano gente per lavori generici. La mattina seguente mi presentai all’ufficio e all’impiegato dissi che non avevo qualifiche. Penso che non mi credette, ero imbarazzato ma deciso a prendere lavoro e lo mostravo ma mi assunse e mi dette una lettera da presentare al distretto ferroviario di Sydenham. Lasciai l’ufficio piu’ svelto che potei per paura che ci ripensasse. Ero euforico non vedevo l’ora di dare a Maria la bella notizia. Quando rividi Quinto egli si scuso’ per non avermi avvisato del lavoro offertogli ma io non mi preoccupai, anch’io avevo un lavoro!
Arrivai sul posto di lavoro di buon mattino dopo aver chiesto dozzine di volte dove questo posto si trovava e siccome l’ufficio era chiuso sedetti su una panca li vicino. Alle nove una sirena suono’ e una fila di operai in tuta mi passarono davanti e entrarono in un edificio accanto. Una voce mi fece sussultare, quest’uomo mi chiese se ero italiano e se aspettavo che aprisse l’ufficio, risposi di si lieto di sentire parole italiane, gli chiesi che lavoro faceva e mi disse che era solo uno spazzino e stava andando a colazione, mi invito’a seguirlo ed io accettai volentieri anche perche’ cominciavo ad aver fame. L’edificio era una vasta sala, una specie di refettorio dove gli operai consumavano i pasti del giorno; questa era la colazione. Mentre domandavo ancora dettagli sul posto di lavoro, scartai il mio involto,un filone di pane farcito di carne e verdura che impressiono’ i vicini al tavolo abituati a far colazione con biscottini e piccole leccornie.Tagliai il filone a meta’ e cominciai a mangiare quando mi resi conto che non avevo nulla da bere. Il bravuomo mi indico’ una caldaia in un angolo con tante tazze intorno. Mi aspettavo di prendere un caffe’ o te’invece dal rubinetto usci’ soltanto acqua bollente. Non sapevo cosa fare, sentivo gli sguardi di dozzine di occhi su di me,egli vene in mio aiuto e mi offri’ il suo caffe’ in polvere; solo allora notai che ogniuno aveva dei contenitori con caffe’ o te’davanti a se.Queste erano usanze nuove per me e ne avrei affrontate ancora ogni giorno.
Dopo colazione fui ricevuto in ufficio dal capo sezione che con voce pacata mi mise a mio agio e con mia sorpresa mi offri’ un caffe’.un nodo mi strinse la gola, ricordai le condizioni in cui lavoravamo in Italia, mai avevo avuto un colloquio cosi’ amichevole con i miei superiori!!. L’impiegato si complimento’ del mio modo di vestire ma non credette che io non sapevo far nulla, allora gli dissi la storia inventata per prendere lavoro. Pazientemente mi fece leggere gli orari ferrovari su un libro e, soddisfatto mi diede una lettera da presentare ad un altro settore. Dopo qualche tempo un uomo mi prelevo’ e dopo un corto tragitto in treno arrivammo alla stazione centrale di Sydney. Qui fui presentato al mio capo sezione al quale detti la lettera.
Mi disse che non potevo esercitare il mio mestiere di elettricista fino a che non avevo il certificato di abilitazione. Cominciai cosi’ la mia giornata lavorativa assegnato ad un collega greco cambiando le lampade nei vagoni ferroviari. Imparai presto il mio lavoro e in pochi giorni lavorai da solo. Quando presentavo i miei rapporti a fine turno chiamavo il mio capo Signor John; Questi mi disse di chiamarlo soltanto John perché lui non era così importante. Facevo sempre paragone tra questa nuova vita e quella che avevo lasciato. Era piacevole lavorare, vivere, fare amicizie in questa terra e pensai forse il nostro futuro era qui. Il problema era la lingua, mentre io mi arrangiavo sul lavoro, Maria aveva difficolta’ a farsi capire nei negozi e aspettava il mio ritorno dal lavoro.Per questo mi sentivo colpevole, dopotutto lei aveva seguito me ciecamente ma mi confortava il pensiero che quando il contratto finiva dopo due anni, se non ci piaceva vivere in Australia saremmo tornati a casa.
Il mio lavoro procedeva bene, anche Maria trovo‘ un impiego in una filanda e dopo qualche mese, dopo aver sostenuto vari esami acquisii il certificato che mi permetteva di lavorare nel mio mestiere proprio, quindi la raggiunsi. Maria era nel turno del pomeriggio, io di mattina, ci scambiavamo gli ordini del giorno alla mia uscita. Cambiammo casa e facemmo nuove amicizie. A questo punto pensammo ad una sistemazione piu’ stabile anche perche’ Maria mi annuncio’ che aspettava un bebe’. Vivemmo ancora in affitto con i padroni di casa finche’ dopo due anni di permanenza in Australia potemmo mettere un deposito ad una casetta non lontano dal lavoro e comprammo una macchina di seconda mano. Daniela la nostra primogenita aveva otto mesi. Eravamo una famiglia adesso,il primo ciclo si era concluso da quel lontano giorno che salutammo i nostri cari, amici e Patria.
Ho 82 Anni adesso , e Maria 79, tanto tempo e’ passato dai quegli anni remoti. Non so perche’ ho scritto la storia della mia emigrazione, forse volevo lasciare ai miei figli e prossime generazioni un ricordo indelebile dello spirito di adattamento umano necessario quando si sogna un futuro migliore in terra straniera e l’essere lieto che il nostro sacrificio permettera’loro di essere uniti e di non dover cercare un futuro altrove. Mario e Maria Scarselletta.